Covenant Protestant Reformed Church
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La Predicazione Pubblica delle Donne

(Ottobre 1879)

Robert Lewis Dabney (1820-1898)

 

(Edito ed aggiornato ed aggiunto al Bible Bulletin Board da: Tony Capoccia Bible Bulletin Board Box 119, Columbus, New Jersey, USA, 08022; http://www.biblebb.com/ e http://www.gospelgems.com/; E-mail: tony@biblebb.com; Online dal 1986. Una copia audio di questo sermone, predicato da Tony Capoccia, è disponibile su CD, in lingua inglese a: http://www.gospelgems.com/.)

Il seguente manoscritto è aggiornato e rivisto, e protetto da copyright © 2000 di Tony Capoccia. Tutti i diritti riservati. Questo file può essere liberamente copiato, stampato, e distribuito purché la citazione riguardante il copyright e la fonte rimangano intatti, e purché non sia venduto.

Al giorno d’oggi vediamo un rapido avanzamento di nuove idee. Ciò che ieri era un suggerimento incredibile, proposto soltanto da alcuni fanatici dell’ultim’ora, e menzionato soltanto dai conservatori per essere ridicolizzato, è al giorno d’oggi la sfacciata riforma, e domani sarà la pratica accettata. Le novità sono così numerose e così selvagge e rudi, che perfino nelle menti di qualche conservatore il sentimento di meraviglia si è esaurito e l’istinto di giusta resistenza affievolito. Qualche anno fa che le donne potessero essere predicatrici era universalmente condannato in tutte le denominazioni conservatrici del Cristianesimo. Ora l’idea viene presentata alle chiese, e donne predicatrici stanno bussando alle nostre porte. Già ci viene detto che l’opinione pubblica sta tentennando a motivo dell’audacia e della ragionevolezza delle pretese di queste donne predicatrici, che perfino i nostri ministri esitano nel far sentire la propria voce contro questo movimento. Queste osservazioni mostrano che una discussione riguardante il posto appropriato della donna nella Chiesa Cristiana è una grande necessità.

Gli argomenti avanzati da quelli che professano riverenza per la Bibbia, e tuttavia sono a favore di questa pratica non scritturale, sono i seguenti:

1. Essi professano di appellarsi alla storia sacra delle profetesse Miriam, Deborah, Huldah ed Anna, come prove che il sesso non è una barriera sufficiente alla predicazione pubblica delle donne nella chiesa.

La risposta critica, però, è che queste sante donne erano ispirate. La loro chiamata a proclamare pubblicamente la Parola di Dio era eccezionale e soprannaturale. Non è un modo di ragionare corretto quello di stabilire la regola ordinaria partendo da alcune eccezioni. Elia, nella sua relazione civica col regno del nord di Israele, sarebbe stato soltanto un cittadino privato senza la sua chiamata profetica e l’ispirazione divina. In virtù di questo lo troviamo esercitare la più alta delle nobili funzioni (I Re 18), e cioè amministrare la pena capitale ordinata dalla legge contro i falsi profeti ed insegnanti, quando egli sentenziò i sacerdoti di Baal ed ordinò la loro esecuzione. Ma sarebbe un’inferenza molto pericolosa argomentare che quindi qualsiasi altro cittadino privato, se mosso da zelo religioso, avrebbe potuto usurpare le funzioni punitive del giudice civile. E’ egualmente cattiva logica inferire che siccome Deborah profetizzò quando l’impulso soprannaturale dello Spirito la mosse, quindi qualsiasi altra pia donna che percepisce soltanto gli impulsi della grazia ordinaria possa usurpare la funzione del predicatore pubblico. Inoltre, si deve ricordare che chiunque pretenda di avere un’ispirazione soprannaturale deve essere pronto a provarlo con opere soprannaturali. Se qualcuna delle nostre donne predicatrici opererà un miracolo genuino, allora, e non prima di allora, sarà intitolata a stare sullo stesso piano di Deborah o Anna.

2. Si tenta debolmente di dimostrare una ricognizione implicita dei diritti delle donne a predicare in 1 Corinzi 11:5, che dice: "Ogni donna che prega o profetizza col suo capo scoperto disonora il suo capo – è come se il suo capo fosse rasato."

Essi desiderano trovare qui l’implicazione che la donna che sente la chiamata può profetizzare o predicare in pubblico, fintanto che lo fa col capo coperto. Ma quando ci volgiamo al capitolo 14, versi 34 e 35, troviamo lo stesso apostolo che proibisce strettamente la predicazione pubblica nelle chiese da parte delle donne, e che comanda il silenzio. Nessun onesto lettore della Scrittura può inferire che l’Apostolo intendeva permettere per deduzione proprio ciò che lui stesso nella stessa epistola e nella stessa parte d’essa proibisce espressamente. E’ malvagio rappresentare l’Apostolo Paolo come uno che contraddice se stesso. Egli non voleva dire nel capitolo 11, verso 5, per implicazione, che una donna poteva predicare in pubblico, che fosse col capo coperto o meno. […]

3. Un altro argomento è l’appello al fatto che alcune donne Cristiane possiedono ogni dono che hanno gli uomini: zelo, educazione teologica, santità, potenza nel parlare, e quindi si chiede per quale motivo, nel caso della donna, queste non sarebbero qualifiche per il ministero come lo sono per l’uomo.

Si contende che è una politica dannosa e crudele quella di privare la chiesa delle anime vinte a Cristo e del bene che questi doni e grazie potrebbero procurare quando esercitati nel pulpito da donne. Alcune donne dicono che hanno sentito l’impulso dello Spirito e della loro coscienza a proclamare il vangelo, e questo confermerebbe la chiamata di Dio al ministero. Esse dicono che "devono ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini," e ci avvertono di non opporre i loro impulsi, perché dicono che "è possibile che ci troveremmo ‘a combattere contro Dio.’" Esse argomentano che l’Apostolo Paolo stesso ci ha detto, nella nuova creazione di grazia, che in Cristo "non c’è né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina" (Colossesi 3:11; Galati 3:28). La nostra risposta è questa: se il regno spirituale appiattisce ogni distinzione sociale e terrena, allora i suoi diritti ufficiali dovrebbero essere egualmente distribuiti senza alcun riguardo a persone, ma è ovvio che non è così.

4. E’ inoltre avanzato che Dio ha deciso la questione mettendo il Suo sigillo di approvazione sulla predicazione di alcune donne benedette.

Ad esempio, essi citano donne come Miss Sarah Smiley, a cui è fatto comunemente riferimento come "Amica." Se i risultati di successo del suo ministero non provengono dalla grazia di Dio, allora possiamo ragionevolmente screditare tutti i frutti del vangelo che sono mostrati da quelli le cui vite sono state cambiate dalla sua predicazione. E così con tono trionfale essi chiedono: "Dio forse userebbe ed onorerebbe un’agenzia che lui stesso ha dichiarato essere illecita?" Noi rispondiamo: "Sì." Tuttavia, essere così sicuri di questo argomento significa basarsi su un errore molto ovvio.

Di certo Dio non onora, ma usa agenti che non approva.

Di sicuro Dio non approva un uomo che "predica Cristo per invidia e rivalità" (Filippesi 1:15), e tuttavia l’Apostolo Paolo gioisce nel fatto che "che sia per falsi o buoni motivi, Cristo è predicato." Vi sono due verità molto semplici, che nessun credente mette in questione, i quali distruggono l’intera forza del loro argomento che "i fini giustificano i mezzi." Uno è che un Cristiano veramente sincero può muoversi nella direzione sbagliata in un’area particolare della sua vita, ed il nostro Padre celeste, che è molto paziente, può trattenere il Suo dispiacere dagli sforzi perversi di quel figlio o figlia, attraverso l’intercessione di Cristo, perché, anche se è sviato/a, è ancora un figlio o figlia benedetto/a da Dio. L’altro è, che è una delle prerogative più chiare e benedette di Dio quella di far venire il bene dal male. Quindi chi può dubitare che è sbagliato per un uomo morto nei suoi peccati introdursi nel sacro ministero? Tuttavia Dio ha spesso impiegato tali peccatori per convertire anime, non sanzionando la loro profana intrusione, ma glorificando la sua grazia governando questa intrusione sovranamente.1

Questo appello per le donne predicatrici può essere confutato anche con un’altra risposta.

Se la giustezza delle azioni deve essere determinata dai loro risultati, allora evidentemente dovrebbe esserlo in base ai loro risultati completi.

Ma chi è competente da dire se i risultati completi di uno di questi devoti errori sarà di beneficio o meno? Concedo che una donna zelante può convertire o confermare varie anime attraverso la sua predicazione. Ma non è anche possibile che possa, col suo cattivo esempio, introdurre in futuro molta confusione, disturbo, contese, errore e scandalo che supererà di molto l’iniziale e limitato bene?2 A questa domanda non può essere data risposta fino a quando non si sia giunti alla fine dei tempi, e ci vorrà una mente onnisciente per eseguire questo giudizio. Dunque diviene perfettamente chiaro che i risultati che al presente sembrano buoni non possono mai essere una giustificazione sufficiente di un tipo di condotta che viola la chiara Parola di Dio. Quest’ultima è la nostra sola guida sicura. Cattivi risultati seguono un corso di azione non comandato nella Parola, possono presentare una ragione sufficiente per, e perfino obbligare a fermarsi. Similmente, buoni risultati che seguono tale azioni possono suggerire che probabilmente sia buono continuare in tal modo, ma quando il corso dell’azione trasgredisce il comando della Scrittura allora tale probabilità perde ogni valore.

Ora daremo uno sguardo ad alcuni argomenti contrari alla legittimità delle donne predicatrici.

1. Quando l’Apostolo insegna l’eguaglianza di ognuno nel prendere parte al privilegio della redenzione, è ovvio che sta parlando in generale, e non di posizioni ufficiali nella chiesa visibile, ma di accesso a Cristo e alla partecipazione delle sue benedizioni.

L’esclusione di Paolo delle donne dal pulpito è chiara ed enfatica come lo è la sua asserzione dell’eguaglianza universale in Cristo. Di sicuro egli non intende contraddirsi. La nostra interpretazione è anche stabilita da altri esempi di simile sorta. L’apostolo espressamente esclude i "convertiti di recente" dall’ufficio di predicatore e ministro. Tuttavia nessuno si sogna di rendere il fatto che uno è un convertito di recente una base di discriminazione contro l’eguaglianza dei privilegi che anche lui ha in Cristo. Senza dubbio l’apostolo sarebbe stato pronto ad asserire che in Cristo non c’è giovane o anziano, proprio come in Cristo non vi è maschio o femmina. Egualmente, ogni uomo razionale escluderebbe dei bambini dall’ufficio di pastore nella chiesa,3 e tuttavia nessuno sminuirebbe la loro posizione di eguaglianza in Cristo (tranne i battisti, di qualsiasi tipo—N. d. T.). Similmente, l’apostolo nega ai Cristiani che erano colpevoli di poligamia il pasturato, per quanto sincero fosse il loro ravvedimento. Se, allora, l’eguaglianza di queste classi in Cristo non implica la loro appropriatezza all’ufficio pubblico ecclesiastico, nemmeno lo fa l’eguaglianza di femmine e maschi in Cristo. E quindi possiamo vedere che lo scopo dell’apostolo in questi versi non è nessun altro se non far riferimento, con questa benedetta eguaglianza Cristiana, al fatto che ogni classe di Cristiani ha diritto ad essere membro della chiesa, e che l’amore Cristiano e la comunione dovrebbero includere chiunque.

2. Constatiamo, inoltre, che quando si reclama che la chiesa debba concedere la funzione ministeriale alla donna Cristiana che crede sinceramente di essere stata chiamata a svolgerla, abbiamo una perversione pericolosa della vera dottrina della chiamata al ministero. E’ vero, questa chiamata è spirituale, ma è anche scritturale.

Lo stesso Spirito che chiama veramente un ministro ha anche fatto scrivere le Sacre Scritture. Quand’ anche un uomo pio dica che egli pensa che lo Spirito lo ha chiamato a predicare, vi può essere un legittimo spazio per qualche dubbio, ma non c’è alcun dubbio che lo Spirito non chiami nessuno a fare quello che la parola da Lui Stesso ispirata proibisce. Lo Spirito non può contraddire Se Stesso. Nessuno può pretendere una chiamata specifica dello Spirito per lui individualmente a fare o insegnare qualcosa contrariamente o in violazione alle Scritture precedentemente date alla chiesa, a meno che possa sostenere la sua pretesa con qualche miracolo. Ancora, la vera dottrina della chiamata è che l’uomo che Dio ha inteso chiamare e qualificare per predicare scopre la sua chiamata attraverso la parola. La parola è lo strumento col quale lo Spirito gli insegna, in preghiera, che egli deve predicare. Quindi, quando una persona professa di aver sentito questa chiamata e la parola esclude questa persona dall’opera, come ad esempio ad un convertito di recente, ad un bambino, al poligamo che si ravvede, o alla donna, anche se possiamo ascrivere il suo errore ad un sincero e beninteso zelo, sappiamo in quel momento in modo assoluto che egli o ella si sbaglia, e che ha confuso un impulso umano con la chiamata dello Spirito.

3. Inoltre, la chiamata scritturale viene non solo attraverso il cuore del candidato, ma anche attraverso la Chiesa stessa, perché la chiamata non è mai completa fino a che la Chiesa non l’abbia confermata.

Con quale regola la Chiesa sarà guidata per quanto riguarda l’ordinazione dei ministri? Con la semplice dichiarazione di chiunque assuma essere sincero? Certamente no. La Chiesa ha l’espresso comando di non "credere ad ogni spirito, ma di provare gli spiriti per vedere se sono da Dio." Essa non ha altra regola che la Scrittura. Chi può credere che lo Spirito di Dio è l’agente di tale anarchia come questa, dove la Chiesa ha nelle sue mani la Parola, ed insegna che Dio non chiama alcuna donna, e nonostante questo una donna insiste contro di essa che Dio l’ha chiamata? Dio "non è un Dio di disordine ma di pace. Come in tutte le congregazioni dei santi." E’ riguardo proprio a questo soggetto della chiamata all’insegnamento pubblico e alla predicazione che l’apostolo fa questa dichiarazione.

4. Inoltre, l’argomento che procede dall’apparente chiamata di alcune donne, in base ai loro doni e grazie, ad edificare le chiese per mezzo della predicazione, è quindi inutile e falso.

Quando Dio mette in grado una donna di comprendere ed insegnare la Sua Parola, si può con sicurezza assumere che Egli abbia in vista qualche saggio fine, ha qualche area o sfera in cui i suoi doni svolgeranno il ruolo appropriato. Ma di sicuro è lontano dall’essere riverente da parte della creatura decidere, contrariamente alla Parola di Dio, che la sua sfera è il pulpito. La sapienza di Dio è migliore di quella dell’uomo. Il peccato include la presunzione di Uzzah. Egli aveva ragione nel pensare che sarebbe stato male far cadere l’arca sacra nel fango, e nel pensare che aveva la forza fisica per fermarla, proprio come ogni altro Levita; ma si sbagliava nel presumere di servire Dio in un modo che Dio non aveva prescritto. E così quando gli uomini lamentano che la "potenza spirituale sprecata," che essi suppongono esista in molte donne dai molti doni, sia una grande perdita per la chiesa, stanno ragionando come Uzzah, stanno presuntuosamente ponendo la loro sapienza umana al di sopra di quella di Dio.

L’argomento, quindi, se una donna possa o non possa essere un predicatore della parola dovrebbe essere primariamente un argomento basato sulla Scrittura.

1. La Bibbia lo proibisce realmente? Io asserisco che lo fa.

Primo, l’Antico Testamento, che in germe conteneva tutti i principi del Nuovo Testamento, non permetteva alcun ufficio regolare di chiesa ad alcuna donna. Quando qualche donna era impiegata come portavoce di Dio, fu in un ufficio puramente straordinario, e nel quale potevano offrire evidenza soprannaturale della loro commissione. Nessuna donna ministrò mai all’altare, come sacerdote o Levita. Nessuna femmina anziano fu mai vista in una congregazione ebraica. Nessuna donna mai sedette sul trono della teocrazia, eccetto l’usurpatrice ed assassina pagana Attaliah.

Ora, questo principio veterotestamentario del ministero è trasportato in un grado nel Nuovo Testamento dove troviamo le congregazioni Cristiane con anziani, insegnanti, e diaconi, e le sue donne invariabilmente stanno in silenzio nell’assemblea.

2. Secondo, se il linguaggio umano può rendere chiaro qualcosa, rende chiaro che le istituzioni del Nuovo Testamento non permettono alla donna di governare o "di avere autorità su un uomo" (vedasi I Timoteo 2:12; I Corinzi 11:3, 7-10; Efesini 5:22-23; I Pietro 3:1, 5-6.)

Come minimo, nelle faccende di chiesa, la posizione della donna è subordinata a quella dell’uomo. E secondo i precedenti e la dottrina del Nuovo Testamento, la chiamata a predicare e governare nella chiesa vanno insieme. Ogni anziano di chiesa non è un predicatore, ma ogni predicatore della chiesa deve essere un anziano della chiesa. Ciò è chiaramente implicato in I Timoteo 5:17, cioè che vi erano anziani che non erano predicatori, ma non vi fu mai un predicatore della chiesa che non è stato anche un anziano. Le qualifiche scritturali per predicare, cioè, conoscenza, santità, esperienza, autorità, dignità, purezza, erano qualifiche ancora più esigenti di quelle elencate per gli anziani. Quindi, se è giusto per la donna predicare, deve anche essere un anziano di chiesa. Ma Dio ha espressamente proibito questo, ed ha assegnato alla donna un posto domestico e sociale, nel quale richiedere, da parte sua, di essere un anziano ed un predicatore sarebbe semplicemente anarchia.

Questo argomento può essere posto in una forma molto pratica e specifica, che rivelerà la sua assoluta assurdità. Sia concesso, in via ipotetica, che qui vi è una donna i cui doni e grazie, sapienza spirituale ed esperienza sono tanto superiori agli altri che i suoi amici percepiscono che sarebbe una grande perdita di potenza nella chiesa confinarla al silenzio nell’assemblea pubblica. Quindi, per questa ragione, ella esercita il suo dono pubblico e riscuote grande successo. Ella diventa il genitore spirituale di molte anime appena nate. Non è giusto quindi che la sua figliolanza spirituale debba guardare a lei per essere guidata? Come può lei, dalla sua posizione, giustificarsi nel rifiutare di andare incontro ai bisogni di queste anime novelle in Cristo? Ella stessa si sente propriamente guidata, a motivo della deficienza nella quantità o qualità della predicazione maschile nella chiesa, di rompere le limitazioni di sesso e di contribuire coi suoi superiori doni nel vincere anime. Ora, per portare ciò oltre, se appare che una simile deficienza di leadership maschile, che sia in quantità o qualità, esiste nella stessa chiesa, allora lo stesso impulso deve, causa forza maggiore, approntarla ad assumere l’opera meno pubblica e prominente di condurre e governare la chiesa. Dovrebbe assumersi le responsabilità di un anziano, e così preservare i frutti che ha piantato. Dovrebbe ammonire, comandare, censurare, e scomunicare i suoi convertiti maschi, incluso, possibilmente, il marito al quale ella deve ubbidire a casa, se il vero benessere delle anime che ha vinto richiede una tale azione. Tutto questo sarebbe assurdo, e creerebbe molti danni alla chiesa.

Diamo ora uno sguardo alla Parola di Dio concernente la predicazione e la leadership della chiesa; troveremo che esse sono espresse in modo particolarmente e perfino sorprendentemente esplicito.

[L’Apostolo] […] al capitolo 14 […], ai versi 34 e 35, proibisce espressamente alle donne di predicare, dicendo "le donne devono rimanere in silenzio nelle chiese. A loro non è permesso di parlare" (in quel luogo), ma devono stare in soggezione, come la Bibbia dice. "Se vogliono chiedere qualcosa," qualcosa riguardante qualche dottrina che hanno udito discussa ma non hanno compreso, allora "dovrebbero chiedere ai loro mariti a casa, perché è una cosa sgraziata per una donna parlare nella chiesa." E al verso 37 egli termina l’intera discussione dichiarando che "se qualcuno pensa che è un profeta o spiritualmente dotato," e così perfino intitolato a mettere in discussione le istruzioni di Paolo, allora "riconosca che quanto io vi sto scrivendo è il comandamento del Signore," e non meramente le sue personali conclusioni. E quindi mettere in discussione le chiare istruzioni di Paolo in base a tali pretese di impulsi spirituali è inevitabilmente sbagliato e presuntuoso. Perché l’indiscutibile Signore non comanda cose in modo contraddittorio.

Il prossimo passaggio è I Timoteo 2:11-15. Al verso ottavo, l’apostolo, avendo insegnato quale dovrebbe essere il tenore delle preghiere pubbliche e del perché dovrebbe essere così, dice: "Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando le mani pure" (facendo riferimento alla pratica dei due sessi che pregavano insieme pubblicamente). Egli poi comanda, […], che le donne Cristiane si rechino in chiesa vestite nel modo più modesto possibile, così da esprimere l’umile modestia del loro sesso. Egli poi continua: "La donna impari in silenzio, con ogni sottomissione. Non permetto alla donna d'insegnare" (il contesto qui fa riferimento ad insegnare in pubblico) "né di usare autorità sull'uomo, ma ordino che stia in silenzio. E non fu Adamo ad essere sedotto" (da Satana) "ma fu la donna che, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione" (per prima). "Tuttavia essa sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell'amore e nella santificazione con modestia."

In I Timoteo 5:9-15 è definita chiaramente una sfera ministeriale per le donne più anziane che sono single, esclusivamente per quelle che sono vedove o non sono state mai sposate e sono senza parenti stretti. L’apostolo è così specifico che egli fissa in modo categorico i limiti di questa sfera a quelle che hanno sessant’anni d’età, sotto la quale la chiesa non può accettarle. Quale era questa sfera ministeriale? Evidentemente era una sorta di lavoro diaconale, e cioè aiutare gli altri, e chiaramente non predicare, a motivo dell’età; le qualificazioni e le connessioni puntano tutte a questi compiti di benevolenza privata, e la storia non ispirata lo conferma.

Ora, a tutte le donne più giovani l’apostolo quindi assegna la loro specifica sfera ministeriale in queste parole al verso 14: "Voglio dunque che le giovani vedove si maritino, abbiano figli, si prendano cura della famiglia e non diano all'avversario alcuna occasione di maldicenza," sia nei riguardi dei Cristiani o del Cristianesimo in generale. Qui troviamo forte evidenza che Paolo non assegnava alle donne nessuna funzione di predicazione pubblica. In Tito 2:4-5 le donne che non hanno raggiunto un’età avanzata devono "amare i loro mariti ed i loro figli, devono essere autocontrollate e pure, essere indaffarate a casa, gentili, e soggette ai loro mariti, così che nessuno malignerà la parola di Dio." E la sola funzione d’insegnamento mai suggerita per le donne più anziane si trova al verso 4, e cioè che esse insegnino le virtù domestiche private alle loro sorelle più giovani. Noi possiamo chiaramente vedere che l’apostolo qui decide che la casa sia la sfera appropriata d’attività ed di ministero della donna Cristiana. Quello è il suo regno, e chiaramente non il luogo di lavoro secolare né la chiesa. I suoi doveri in casa la terranno lontana dalle funzioni pubbliche. Non deve essere in autorità sopra uomini, ma deve essere soggetta in modo amorevole a suo marito.

Le basi sulle quali l’apostolo fonda la legge divina contrariamente alla predicazione delle donne, rendono chiara la correttezza del nostro ragionamento: mettendo insieme I Corinzi 11 con I Timoteo 2, troviamo quanto segue: il maschio fu la prima creazione di Dio, la femmina fu susseguente. La femmina fu fatta dalla sostanza dell’uomo, essendo stata presa dal suo fianco. Il proposito della creazione ed esistenza della donna è essere una compagna ed un aiuto per l’uomo, ed in un senso in cui l’uomo non fu originariamente designato per essere lo stesso per la donna. Quindi Dio, dall’inizio dell’esistenza dell’uomo come peccatore, pose la moglie sotto la gentile e compassionevole autorità del marito, rendendolo suo capo, e rendendo lei subordinata a lui nella società domestica. Infine quindi, l’azione della donna nel cedere alla tentazione satanica e nel cooperare col diavolo nel sedurre suo marito a peccare fu punita con questa soggezione, come vista nella maledizione di Genesi 3:16, dove è dichiarato che il marito dominerà sulla moglie, e la sentenza della prima donna è stata estesa per imputazione a tutte le sue figlie. Queste sono le basi su cui l’apostolo dice che il Signore decretò che nelle assemblee di chiesa la donna dovrà stare in silenzio, e non deve essere l’insegnante pubblico, deve essere governata, e non governare.4

Le ragioni per le quali alle donne è proibita la predicazione pubblica e l’insegnamento si applica a tutte le donne, di ogni età e di ogni civiltà allo stesso modo. Tali ragioni sono, in verità, in forte opposizione alle teorie radicali dei diritti individuali dell’uomo ora in voga nel mondo contemporaneo. Invece di permettere a tutti gli esseri umani una specifica eguaglianza ed una assoluta indipendenza naturale, queste dottrine scritturali assumono che vi sono ordini tra gli essere umani naturalmente ineguali nei loro diritti ereditari, come nelle loro qualità corporali e mentali, e che Dio non ha ordinato qualsiasi persona a vantarsi di questa indipendenza, ma ha posto tutti in subordinazione sotto delle autorità, il bimbo sotto sua madre, la madre sotto suo marito, il marito sotto la chiesa e le autorità civili, e queste sotto la legge il cui guardiano e vendicatore è Dio Stesso.

I comandamenti ispirati della Scrittura suonano espliciti ad ogni ascoltatore onesto, per quanto esplicito il linguaggio umano può renderli. Tuttavia l’ingegnosità moderna ha scritto molto per cercare di giustificare il tutto secondo i suoi parametri. Uno non si sorprende di trovare queste esposizioni, perfino quando avanzate da quelli che professano di accettare le Scritture, colorate da molti errori. Una veritiera ed onesta riverenza per l’ispirazione della Scrittura difficilmente proverebbe in maniera così disperata a svolgere il compito di mal rappresentare e diffondere tali esposizioni di una legge così chiara. Dunque, a volte udiamo queste osservazioni pronunciate quasi con un sogghigno: "Oh, questa è l’opinione di Paolo, un vecchio scapolo scontroso con la testa piena di queste idee sulla donna che appartengono al tempo in cui viveva, quando la società considerava la donna come un’illetterata, un giocattolo, ed una schiava." Oppure, si fa riferimento alla favola dei disegni dell’uomo che domina il leone, nei quali l’uomo era sempre il disegnatore, ed è detto: "Paolo era un uomo, egli è geloso dell’autorità del suo sesso. La legge sarebbe stata differente se fosse stata proclamata da una donna." Cos’è tutto ciò se non aperta incredulità e resistenza, quando l’apostolo dice esplicitamente che questa legge è il decreto del Cristo che accondiscese a nascere da una donna?

Ancora, alcuni vorrebbero far leggere la proibizione di I Corinzi 14:34 come "non è permesso alle donne di ‘farfugliare,’" piuttosto che "non è permesso alle donne di parlare."

Quindi essi provano a mostrare che il verbo usato qui è solo quando si riferisce ad un parlare in senso negativo, e che la proibizione si riferisce al fatto che la donna non ha il permesso di dire stupidaggini in pubblico, ma che ciò non esclude, ma piuttosto implica, il suo diritto a predicare, fintanto che predichi bene e soltanto solida verità Biblica. Nessun espositore avrà bisogno di replicare ad un criticismo così meschinamente assurdo come questo. Ma può essere utile semplicemente far notare, nel confutare un tale argomento, che l’opposto di questo verbo nella mente stessa di Paolo e nelle sue stesse parole è "stare in silenzio." La distinzione qui implicata, quindi, non è tra un modo di parlare sano e un farfugliare, ma tra parlare pubblicamente e rimanere in silenzio. Di nuovo, nel passaggio parallelo (I Timoteo 2:12), l’apostolo dice: "Non permetto ad una donna di insegnare" dove egli usa la parola greca "didasko" il cui significato regolare è "insegnare" nel senso generale del termine, e cioè ogni tipo di insegnamento. E l’intera logica dell’apostolo, in questi contesti, è diretta non contro degli insegnamenti stupidi da parte delle donne, ma contro qualsiasi loro insegnamento pubblico.

Un altro modo in cui cercano di schivare la verità del testo è dicendo: "Sì, la legge è esplicita, ma era soltanto temporanea."

Quando la donna era il prodotto del paganesimo e dell’harem orientale era sicuramente inadatta per governare ed insegnare in pubblico, perché era soltanto una bambina cresciuta, impulsiva e rude, come i bambini, e mentre si trovava in tale condizione l’esclusione dell’apostolo era saggia e giusta. Ma la legge non fu intesa per essere applicata alla donna Cristiana moderna, elevata attraverso istituzioni migliori ad un’eguaglianza intellettuale, morale e letteraria pari all’uomo. Non c’è dubbio che se l’apostolo fosse vivo oggi, lui stesso riconoscerebbe che è così.

Quantomeno questo argomento è più decente. Ma per quanto riguarda una propria interpretazione del testo, è allo stesso modo ingiusto e insostenibile quanto l’altro. Perché: primo, è falso assumere che la concezione dell’Apostolo della donna Cristiana era quella di una bambinona ignorante proveniente dall’harem. L’harem non era un’istituzione ebraica legittima, la poligamia non era la regola, ma l’eccezione, nelle famiglie ebraiche rispettabili; né i devoti ebrei come lo era stato Paolo erano ignoranti dell’illegalità di tali abusi domestici. I costumi e le leggi ebraiche non erano simili a quelle dei popoli che li circondavano, ma erano una gloriosa eccezione alle nazioni circostanti per quanto riguardava il posto che assegnavano alla donna, e la Parola di Dio dell’Antico Testamento aveva fatto tra gli ebrei la stessa opera nobilitante che è sempre stata il tratto caratteristico del giudaismo, e cioè assegnare un posto onorevole alla donna. Coerentemente a questo, non troviamo mai che l’apostolo rappresenti la donna in un modo sprezzante, ma anzi ogni sua allusione alla donna credente è piena di riverente rispetto ed onore. Tra le donne Cristiane che incontriamo nella storia di Paolo non ve n’è nessuna che sia rappresentata come infantile, ignorante o debole. Lidia, Lois, Eunice, Febe, Priscilla, la romana Maria, Giunia, Trifena, Trifosa, la "cara Persis" che troviamo nella storia paolina, e la "signora eletta" che era onorata con l’amicizia dell’Apostolo Giovanni, appaiono tutte nella narrativa come splendenti esempi di intelligenza, attività, dignità, e graziosità Cristiana. Non fu certo lasciato al Cristianesimo pretenzioso del nostro secolo il compito di iniziare la liberazione delle donne. Appena il Cristianesimo entrava in una famiglia, lì compiva la sua opera benedetta di sollevare il sesso più debole ed oppresso; ed è evidente che la concezione abituale di Paolo della donna Cristiana nelle chiese in cui egli ministrava era quantomeno favorevole quanto lo era quella che aveva nei riguardi dei membri maschi. Quindi lo stato delle cose su cui questo argomento riposa non aveva luogo nella mente di Paolo; egli non si considerava un legislatore temporaneo in vista dell’inferiorità della figura femminile del suo tempo, perché non pensava che ella era inferiore. Quando questo infondato argomento è ispezionato viene smascherato semplicemente essere un’istanza di quieto egotismo. Le donne del nostro tempo che si sentono chiamate a predicare stanno in effetti dicendo: "Io sono così elevata ed illuminata da essere al di sopra della legge, che sì era buona per quelle donne all’antica come Priscilla, Persis, Eunice e la signora eletta." Infatti! Bella modestia che è questa! Paolo forse stava soltanto legislando in modo temporaneo quando disse che la modestia è una dei gioielli più splendenti nella corona della donna Cristiana?

Una seconda risposta a questo appello si trova nella natura della base della legge secondo l’apostolo

Essa non è personale, culturale, o temporanea. Né egli dice che la donna non deve predicare perché la considera meno santa, meno zelante, meno eloquente, meno educata, meno coraggiosa, o meno intellettuale dell’uomo. Quelli che difendono i diritti delle donne hanno una tendenza continua a confondere le cose, dicendo che l’apostolo quando dice che la donna non deve fare quello che fa l’uomo intendeva disprezzare il sminuire il sesso femminile. Questo è un grossolano errore. Si cercherà invano uno sminuire le qualità e le virtù del sesso femminile, e possiamo, a questo punto, anche ripudiare ogni intenzione del genere. La donna è esclusa dal compito pubblico mascolino di insegnare non perché sia inferiore all’uomo, ma semplicemente perché il suo Creatore ha ordinato per lei un’altra opera che è incompatibile con quella di predicazione ed insegnamento pubblico della Parola.

Inoltre, possiamo apertamente notare che la legge scritturale non era intesa per essere temporanea, e non aveva alcun riferimento esclusivo alla donna ignorante ed infantile dell’harem orientale, poiché ogni base assegnata per l’esclusione delle donne predicatrici è di applicazione universale e perpetua.

Esse si applicano alla donna moderna ed istruita nella stessa esatta maniera che a Febe, Priscilla ed Eunice. Esse non perdono un singolo punto di forza se cambia in qualche modo la pratica sociale o la cultura femminile, piuttosto sono basate nei fatti riguardanti l’origine e la natura della donna e il ruolo ed il proposito inteso da Dio per la sua esistenza. Dunque questo secondo argomento a favore delle donne predicatrici è totalmente chiuso. E l’argomento trova il suo corpo mortale finale in passaggi come I Timoteo 2:9 e 5:14. Come ho precedentemente menzionato, poche donne in età avanzata sono ammesse, in speciali circostanze, ad essere assistenti nell’opera diaconale. Tuttavia, l’apostolo in quel punto chiaramente assegna al resto del corpo delle donne Cristiane la sfera domestica, indicando chiaramente che qualsiasi tentativo di andare oltre il ruolo loro assegnato darebbe al nemico motivo di calunnia. Qui, dunque, abbiamo la prova più chiara, in forma negativa, che l’Apostolo Paolo non pianificò per le donne un ruolo temporaneo, ma piuttosto è alla donna in quanto elevata ed illuminata dal vangelo che egli predicò e pose i limiti del suo ministero.

La giustificazione di ciò non si trova in uno sminuire la donna quale inferiore all’uomo, ma nel dato di fatto antico: "maschio e femmina li creò." Per stabilire la società umana Dio vide che era necessario creare una compagna all’uomo che non fosse la sua esatta immagine, ma la sua controparte. Una creatura identica all’uomo avrebbe del tutto guastato la loro comunione, e sarebbe stata per entrambi e allo stesso modo una maledizione. Anche se vi è un’ovvia similarità tra l’uomo e la donna, tuttavia vi sono differenze uniche che rivelano chiaramente che ognuno è adatto per opere e doveri che non si confanno all’altro. E non è una degradazione per la donna il fatto che l’uomo può fare alcune cose meglio di lei più del fatto che lei abbia una naturale superiorità in altre cose.

Ma è anche affermato: "la tua dottrina Biblica rende l’uomo il governatore, e la donna colei che è governata."

Vero. Era assolutamente necessario, specialmente dopo che il peccato entrò nella razza umana, che una fondazione di ordine sociale fosse posta nel governo della famiglia. Questo governo di famiglia non poteva essere coerente, pacifico o ordinato se aveva due capi, perché la debolezza basilare dell’uomo, e specialmente il peccato, avrebbe fatto sì che vi fosse collisione, almeno a volte, tra due volontà umane. Era essenziale per il benessere di entrambi, marito e moglie, e per la loro figliolanza, che vi fosse un capo di famiglia. Che decida la ragione ora, era necessario che l’uomo fosse capo sulla donna o la donna sull’uomo? Era giusto che lui per cui la donna fu creata dovesse essere soggetto a colei che fu creata per lui? Che colui che era più forte fisicamente dovesse essere soggetto al vaso più debole? Che il protettore naturale dovesse essere servitore di colei che dipende da lui per la sua protezione? Che colui che deve guadagnare il pane per ordine divino dovesse essere controllato da colei che mette il pane a tavola? Ogni donna onesta ammette che questo sarebbe stato innaturale ed ingiusto. Quindi Dio, agendo, per così dire, per inevitabile necessità morale, assegnò al maschio il governo domestico della casa, regolato e temperato, in verità, dalle strette leggi di Dio, da autointeresse e da una tenerissima affezione, e alla donna assegnò l’obbedienza dell’amore. Da questo ordine familiare dipende ogni altro ordine sociale. L’intento del Cristianesimo non era di sovvertire questo ordine, ma solo di perfezionarlo e rifinirlo. Senza dubbio quello spirito di caparbietà, caratteristico della nostra nativa carnalità sia nell’uomo che nella donna, ci tenta a percepire che qualsiasi tipo di subordinazione dell’uno nei confronti dell’altro è una privazione. L’ostinatezza percepisce questo, a motivo di questa naturale insubordinazione, come un’innaturale ingiustizia. Ma l’ostinatezza dimentica che "l’ordine è la prima legge del cielo," che la subordinazione è l’inalterabile condizione di pace e felicità, e questo è vero tanto per il cielo che per la terra, che questa soggezione non era imposta sulla donna solo come una punizione, ma anche per il bene suo e dei suoi figli, e che essere governata sotto sagge condizioni di natura è spesso uno stato più privilegiato che quello di governare. Dio ha conformato le Sue opere di creazione e provvidenza a questi principi. Nel creare l’uomo Dio lo ha fornito di attributi naturali che lo mettono in grado di lavorare fuori casa, di dominare i pericoli, di proteggere, e di governare. Egli ha dato queste stesse qualità in una misura minore alla donna, e al loro posto l’ha adornata con meno duri, ma egualmente ammirabili attributi di corpo, mente, e cuore che le qualificano per essere remissiva, protetta, e per "guidare la casa." Questo ordine è radicato, quindi, nelle immutabili leggi della natura. Quindi ogni tentativo di sovvertirle deve fallire, e risulterà sempre in confusione.

Ora, un Dio saggio non progetta conflitti tra l’istituzione domestica e quella ecclesiale. Egli ha ordinato che l’uomo deve essere il capo nella famiglia, quindi sarebbe motivo di grande confusione rendere la donna leader nella chiesa. Abbiamo affermato che il diritto di insegnare e predicare pubblicamente include il diritto di governare spiritualmente. Ma come potrebbe funzionare se vi fosse un marito ed una moglie, governatore e soggetta, che cambiassero ruoli ogni volta che passano dalla loro casa alla chiesa? Uno potrebbe soltanto immaginare che tale slittamento di ruoli risulterebbe in qualcosa non lontana da un’anarchia assoluta.

Ancora, i doveri che l’affezione naturale, la disposizione naturale, e le considerazioni di convenienza distribuiscono tra l’uomo e la donna rendono per lui praticabile e per lei impraticabile perseguire i compiti addizionali del predicatore e dell’evangelista, senza negligere altri doveri assegnati.

Un esempio sarebbe quello di allevare e nutrire i figli. L’anziano nella chiesa, il pastore, deve essere "marito di una sola moglie." Entrambi i genitori hanno responsabilità nei confronti dei loro figli, ma i doveri propri della madre, specialmente verso i bambini piccoli, sono tali che non potrebbe lasciarli, come un pastore deve, per svolgere i suoi compiti pubblici senza negligere in modo criminale e senza rischiare la loro probabile rovina. Forse potrà essere argomentato che questo modo di ragionare non si applica a donne non sposate. La risposta è che Dio contempla il matrimonio come la condizione normale della donna, e tuttavia non fa dell’essere single un crimine, ma anche la sfera che egli assegna alla donna non sposata è privata e domestica.

Non c’è dubbio che alcune menti immaginino che vi sia una qualche forza nell’argomento che Dio ha conferito su alcune donne doni e grazie qualificandole in modo eminente per edificare le chiese, e dal momento che quello che Egli fa è sempre perfetto e senza sprechi quindi mostra che Egli prevede che tali donne predichino.

Già abbastanza è stato detto per mostrare quanto del tutto pericolosi sono questi fittizi argomenti. Dio non deve dare conto ad alcun uomo. Non dà Egli spesso il dono più splendido perché sia utile a giovani uomini che poi rimuove, con quella che chiamiamo una morte prematura, dall’esordio della carriera pastorale? Tuttavia "Dio sempre fa ogni cosa in modo perfetto e senza sprechi." Non sta a noi cercare di scrutare come utilizzerà quei doni che apparentemente sono improduttivi. Egli sa come e dove farlo. Noi dobbiamo inchinarci al suo piano perfetto, sia che lo comprendiamo o meno. Lo stesso vale per quanto riguarda il suo comando di non permettere ad una donna dai molti doni di predicare la Parola in pubblico. Ma vi è una risposta più ovvia. Dio le ha assegnato una sfera privata sufficientemente importante ed onorevole per spendere questi doni celesti: la formazione del carattere dei figli. Questa è la più nobile e più importante opera compiuta sulla terra. Vi si aggiungano gli sforzi dell’amicizia, i doveri di moglie, figlia, sorella, aiutante dei poveri, e l’opera di insegnare ad altre donne, e vediamo un campo vasto abbastanza per i più grandi talenti e le più sante ambizioni.

Ora la persona che argomenta a favore delle donne predicatrici ritorna lamentando che, mentre una madre fedele alleva sei o anche dodici figli per Dio, l’evangelista dotato ne può convertire mille!

Ma chiediamoci: quell’uomo sarebbe stato quel dotato evangelista che è se non avesse goduto della benedizione dell’allevamento da parte di una umile madre Cristiana? Se fosse stato allevato nell’ambiente disordinato di una madre che lavora fuori casa, invece di essere padre spirituale di migliaia, forse sarebbe stato un ignorante incredulo o un disgustoso Fariseo. E così la dignità del suo successo pubblico appartiene pienamente alla madre quanto a se stesso. Ancora, la strumentalità dell’allevamento della madre nella salvezza dei suoi figli è potente e decisivo; l’influenza del ministro sulle sue centinaia è poca e non essenziale. Se egli contribuisce con pochi grani, in numerosi casi, perché la bilancia penda verso il cielo, la madre contribuisce con tonnellate su questa bilancia nel caso dei suoi pochi figli. L’uno opera in superficie, l’altra in profondità, così che il reale ammontare di terreno rimosso dai due non è lo stesso, ma è molto di più nel caso della seconda. La donna di santificata ambizione non ha niente di cui rammaricarsi per quanto riguarda la dignità della sua sfera. Ella compie l’opera più nobile che si possa compiere sulla terra. Tuttavia, la ricognizione pubblica è goduta maggiormente attraverso i figli e gli altri che la sua propria persona, e questo è esattamente l’aspetto della sua opera che la rende più simile a Cristo. E’ anche esattamente l’aspetto per il quale una persona dalle ambizioni peccaminose ed egoiste si offende.

Infine, mi si faccia dire che il movimento che conduce all’apertura del ministero di predicazione alle donne non viene necessariamente dalla corrente secolare di pensiero dei "diritti delle donne." La predicazione delle donne contrassegnò il movimento Wesleyano in una certa misura, e le assemblee dei Quaccheri. Ma la risposta reale a quelli che potrebbero dire che è il "diritto di una donna" quello di predicare si trova in un giusto concetto di diritti umani che abbiamo trovato nella Bibbia. La donna non è designata da Dio per avere titolo a tutte le posizioni nella società che ha l’uomo. Dio non ha qualificato la donna per alcuno di questi esercizi in base al corpo, la mente ed il cuore che le ha dato, ed i doveri che le ha assegnato nella sua vita quotidiana. E dal momento che non ha diritto di assumere posizioni mascoline, nel cercare di assumerle rovinerà soltanto la sua propria figura e la società. Ad esempio, i veri tratti emozionali e personali che rendono la donna quell’amata e invalutabile "compagna" dell’uomo, e che ella deve avere per adempiere al proposito per cui esiste, sono sicuramente inadatti per fronteggiare le tentazioni della vita pubblica e del potere. Il tentativo di fare così corromperebbe tutti questi tratti amorevoli, mentre la lascerebbe ancora, quale rivale dell’uomo, "il vaso più debole." Ella perderebbe tutto e non ne guadagnerebbe niente.

Questo movimento comune per i "diritti delle donne" e la predicazione delle donne deve essere considerato, quindi, semplicemente pagano. Non può essere sostenuto onestamente senza attaccare l’ispirazione e l’autorità delle Scritture. Noi siamo convinti che vi è una sola attitudine sicura per i Cristiani e le chiese da adottare nei suoi confronti, e cioè di disapprovarlo completamente, come ogni altro assalto all’infedeltà nei confronti della verità e del regno di Dio. Il leader di chiesa che diviene complice di questa intrusione di certo rende se stesso detestabile ed aperto alla disciplina per mezzo della chiesa e del Signore.

Chiudiamo con un suggerimento a tali donne che forse si sentono inclinate ad assumersi questo nuovo tipo di libertà. Se esse leggono la storia, troveranno che la condizione delle donne nella Cristianità, e specialmente in America, è molto invidiabile se paragonata a quella di ogni altra epoca e nazione. Che esse considerino onestamente quanto esse posseggono qui, cosa di cui le loro sorelle non hanno mai goduto in nessun’altra epoca. Cosa è stato a conferire quegli speciali privilegi sulle donne Cristiane d’America? La Bibbia. Che prestino attenzione, quindi, quando facciano qualsiasi cosa per minare la riverenza dell’umanità nei confronti dell’autorità della Bibbia. Ciò è minare la loro stessa protezione. Se esse comprendono quanto universalmente, in tutte le terre non Cristiane, il "vaso più debole" è stato reso schiavo della forza e dell’egoismo dell’uomo, esse riposeranno contente, così che nel tentare di afferrare un premio inafferrabile non perdano i privilegi che hanno adesso, e cadano di nuovo nel golfo dell’oppressione dal quale queste dottrine di Cristo e di Paolo le hanno sollevate. Amen.


1 N. d. T. Non solo, ma vi sono, al giorno d’oggi (2007), in alcune denominazioni, degli omosessuali che sono stati ordinati al ministero di predicazione e di governo in alcune chiese, e che pure vedono persone convertite e vite cambiate. Anch’essi dicono che per questo motivo Dio non condanna la loro omosessualità, e che le parti nella Bibbia che "sembrano" farlo, devono in realtà essere letti "un pò più ‘da vicino’," per accorgerci che in realtà i termini usati non condannano l’omosessualità e gli omosessuali in modo assoluto.
Questi sono, come il lettore attento noterà presto, gli stessi tipi di argomenti che i "femministi evangelici" avanzano per cercare di negare che la Bibbia nega alle donne il ministero pubblico di predicazione e governo. Entrambi i gruppi (omosessuali e "femministi evangelici") dicono che la Bibbia deve essere reinterpretata su queste questioni, entrambi fanno molto leva su parole e termini singoli e al senso da (ri)attribuire loro, entrambi i gruppi mettono in evidenza "i frutti" dei loro "ministeri" citandoli come "prova innegabile" che Dio ha ordinato ed approva la loro posizione come ministri del vangelo, ed entrambi accusano veementemente chi oppone le loro posizioni come persone "tradizionaliste" "bigotte," "misogine," "omofobiche," e che interpretano le Scritture condizionati dai loro pregiudizi patriarcali, se non farisaici.
2 N. d. T. Di nuovo, lo stesso può benissimo essere detto per le chiese che accettano definitivamente i predicatori omosessuali, non condannando questo peccato, e chi predica vivendo in questo peccato.
3 N. d. T. Ahimè oggi vi sono alcuni che non escludono nemmeno quelli! Ed anche loro portano, a favore di quanto contendono, dei passaggi biblici associata all’"evidenza" delle conversioni e delle vite cambiate attraverso i loro "ministeri."
4 N. d. T. Dabney cioè assegna la ragione della proibizione per la donna di insegnare e di governare sull’uomo nella chiesa a due fatti: 1) lo stato originario di creazione di uomo e donna prima del peccato, e quindi il modo in cui Dio ha inteso che i due sessi debbano essere relazionati e completarsi a vicenda fin dal principio, 2) la punizione a motivo del peccato, che ha accentuato la soggezione della donna all’uomo, dal quale agì indipendentemente quando ascoltò il diavolo e non il comandamento insegnatole da suo marito quale "profeta" che le portava la parola di Dio.
La donna deve essere soggetta per questi due motivi, e se anche uno argomentasse dicendo che gli effetti della maledizione ora sono aboliti in Cristo, cosa cmq non vera se intesa in misura totale in questa presente dispensazione (vedi ad es. Romani 8:18-25), resterebbe cmq lo stato creazionale originario in cui l’uomo già era il capo della donna, e la donna già era a lui soggetta, formata dopo di lui, e per lui, e come figura della chiesa formata "da" Cristo, "per" Cristo, e "in soggezione" a Cristo (Rom. 5:14; Ef. 5:22-23).

Autore

Robert Lewis Dabney è nativo della Virginia, fu educato all’Hampden Sydney College, Virginia, all’University della Virginia, e all’Union Theological Seminary ad Hampden Sydney. Fu ordinate al ministero della Presbyterian Church nel 1847, e trascorse I suoi primi sei anni della sua vita ministeriale pasturando una chiesa. Nel 1853 fu chiamato ad occupare la Cattedra di Storia e Polizia Ecclesiastica all’Union Seminary. Nel 1859 si trasferì al dipartimento di Teologia Sistematica. Dopo la Guerra Civile, durante la quale fu cappellano e servì anche come Principale dello Staff al servizio del Generale T. J. Stonewall, a Jackson, col grado di Maggiore, ritornò all’Union Seminary e continuò ad insegnare Teologia Sistematica fino al 1893, quando si spostò all’Università del Texas occupando la Cattedra di Filosofia Mentale e Morale, e di Economia Politica, dove insegnò fino al 1894. Il suo biografo dice che è intitolato ad occupare "il primo posto tra i pensatori e scrittori teologici del suo secolo."

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